Non è Natale per le famiglie ucraine che vivono sul nostro territorio, non lo è non solo perché il loro Natale ortodosso si festeggia due settimane dopo quello cattolico, esattamente il 7 gennaio, ma non è Natale nei loro occhi, nei loro cuori e nelle loro teste. Occhi velati di tristezza, occhi spenti di chi ha sospeso la propria vita l’8 marzo 2022, giorno in cui sono partite dall’Ucraina per fuggire dalla guerra e sono arrivate in Puglia, a Rutigliano per l’esattezza, grazie a un viaggio della speranza, grazie a Ernesto, il signore che ospita due famiglie ucraine e che abbiamo incontrato per farci raccontare come queste persone trascorreranno il Natale lontano dalla propria terra. “Alcune di queste donne le conosco grazie al mio figlioccio, un bambino ucraino, ora ragazzo, che è arrivato in Italia 25 anni fa. Non appena ho saputo che le loro città (Kiev e Odessa) erano a rischio bombardamento mi sono fatto prestare un furgone e sono partito con l’architetto Tonio Giordano per andarle a prendere con i loro bambini. Dall’inizio della guerra a oggi nella nostra casa e nella casa di alcuni amici sono arrivate 17 famiglie, composte solo da donne e minori perché la legge marziale ucraina impedisce a tutti gli uomini che hanno dai 18 ai 65 anni di uscire dall’Ucraina”. Inizia così il racconto Ernesto, anche lui occhi tristi, ma pieni di speranza, come le donne che ospita nella propria casa con la moglie. “Sono arrivate in Italia convinte che sarebbero andate via a fine maggio, poi è passata l’estate ed erano convinte che sarebbero andate via in autunno, ma siamo a Natale e sono passati 10 mesi. Ora dicono che andranno via a marzo, torneranno da vincitrici perché credono in Zelensky e sono convinte che l’Ucraina vincerà”. Non vogliono compromessi, vogliono solo che tutto il loro dolore abbia un senso, il senso della libertà. “Qualcuna di loro non è riuscita a stare lontana dal marito e dopo un po’ è tornata pur rischiando di morire, altre sono dovute ripartire perché i loro compagni sono stati feriti al fronte, altre sono restate e hanno provato a integrarsi con qualche lavoro saltuario in campagna o come cameriera.” Ma è difficile integrarsi quando sai e speri di poter ripartire e tornare a casa da un giorno all’altro. “Vivono le loro giornate in attesa di una telefonata da parte dei loro mariti e figli per poter ascoltare solo due parole: sono vivo! Non possono sapere null’altro e quando quella telefonata non arriva per 3-4 giorni ci si prepara al peggio.” Anche se casa di Ernesto si aspetta il Natale con l’albero, gli addobbi e il profumo dei dolci per loro Non è Natale perché la guerra non è finita, nonostante TV e giornali ne parlino sempre meno, anche se ormai scarseggiano gli aiuti da parte delle varie amministrazioni e dai gruppi social nati per la causa Ucraina. Non è natale, ma lo sarà non appena potranno tornare e abbracciare i loro cari, non è Natale ma lo è in parte ogni domenica quando si ritrovano per pranzare tutte insieme.
Cornelia Pirulli