Da Baghdad a Bari, la storia di B e della sua nuova vita.

B. è un iracheno di quarant’anni in Italia dal 2011. Lo avevo lasciato pochi anni fa in tuta da operaio, mi viene incontro adesso in giacca e cravatta.

“Sono cambiate un po’ di cose al lavoro – mi dice sorridendo. In azienda (una ditta del  barese che  produce macchinari industriali – ndr) ora sono tecnico-commerciale, uso la mia conoscenza di quattro lingue e le mie competenze in meccanica per vendere all’estero macchinari prodotti in Puglia: un lavoro bellissimo.”

Raccontiamo la tua storia.

Era il 2006, avevo finito le superiori e studiavo meccanica. Saddam Hussein era caduto, il paese era in mano agli anglo-americani. Un amico mi dice: “B., l’esercito americano cerca interpreti, tu parli inglese e il loro pagano bene.” Ero giovane, accettai con leggerezza; tornando indietro, pensando alle conseguenze di quella scelta sulla mia vita, non lo rifarei.

Come andarono le cose?

Ho fatto il traduttore e il meccanico per gli Americani fino al 2012, poi loro sono andati via lasciando il paese nel caos. Per chi aveva lavorato con loro la situazione era pesante. Minacce e intimidazioni continue, la sensazione di essere sempre in pericolo, poi un giorno arriva a casa una busta con una pallottola: è stato il punto di non ritorno. Io e mia moglie, con la nostra bimba appena nata, abbiamo fatto i bagagli e siamo fuggiti.

Come è andato il viaggio?

Un autista ci ha portati in Turchia, poi a piedi oltre il confine con la Grecia, ad Atene ho comprato tre passaporti falsi, 32.000 euro, quasi tutto quello che avevo, poi in aereo a Roma fino in Norvegia, volevamo raggiungere Oslo dove avevo dei conoscenti, ma in Norvegia non ci hanno concesso asilo. Siamo tornati in Italia.

In Italia siete entrati in un progetto di accoglienza dell’ARCI, uno SPAR, oggi SAI.

Per noi è stata una grande fortuna, la cosa più bella che ci è successa in Italia: abbiamo imparato l’italiano e le regole per vivere in Italia. Se non conosci l’italiano non puoi lavorare.

Cosa invece non ti è piaciuto di quel periodo?

Ti sembrerà strano: odiavo ricevere il pocket money (piccola somma di denaro per le necessità quotidiane ndr). Per noi arabi prendere soldi senza lavorare è un disonore. Non riuscire a mantenere la mia famiglia con il mio lavoro mi faceva stare male. Trovare lavoro era la mia ossessione.

Poi un breve periodo in un progetto di terza accoglienza della Caritas.

Anche in questo caso non finirò mai di ringraziare la generosità di queste persone.

Parliamo del lavoro.

La prima esperienza, manutentore in una RSA, non è andata bene: solo 4 mesi.

Poi ho trovato l’azienda per cui lavoro ancora oggi.

Sono entrato come addetto alle pulizie in officina, un lavoro duro, ma non ho mollato. Ho dimostrato ai capi di saperci fare anche come meccanico e in poco tempo sono diventato operaio. Oggi, come ti dicevo, mi è stato affidato un lavoro di responsabilità: seguo i clienti all’estero, accompagno le macchine fino a destinazione, curo la prima attivazione. Un lavoro che mi dà enorme soddisfazione, anche perché so che ogni volta che vendo un pezzo aiuto l’azienda e tutti i miei colleghi.

Come va al lavoro?

Non sarei rimasto nella stessa azienda se non mi ci trovassi bene. Anche il rapporto coi colleghi è ottimo. Qualcuno si stupisce nel vedere un iracheno in camicia bianca, ma è comprensibile. Può capitare qualcuno con cui vai meno d’accordo, ma questo succede in Puglia come in Norvegia come a Baghdad.

Sei persino riuscito a comprare casa, cosa difficilissima per uno straniero in Italia.

Sì, in provincia, dove costa meno. Anche qui è stato decisivo l’aiuto di un amico italiano che mi ha aiutato a trovare casa e con il notaio.

Cosa pensi dell’Italia?

Ormai è il mio paese, io e mia moglie lavoriamo, le mie figlie si sentono italiane. L’ultimo posto in cui mi sento ancora straniero è la Questura di Bari: quando devo rinnovare i documenti è sempre un’esperienza mortificante. Veniamo trattati senza rispetto.

Pensi ancora al tuo paese?

Il mio paese è dove è la mia famiglia.

Quando vedi in televisione le immagini degli sbarchi di migranti cosa pensi?

Provo solo tantissimo rispetto per chi rischia la vita viaggiando in questo modo così pericoloso. Io, pur tra mille difficoltà, sono stato fortunato. Queste persone hanno insieme disperazione e coraggio: è qualcosa che difficilmente chi vive in una condizione di privilegio può capire fino in fondo.

Luca Basso

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