Formidabili quegli anni in cui Capurso divenne una sorta di laboratorio politico con Psi e Pci che diedero vita al “Fronte” in salsa capursese. Un governo locale di sinistra che relegò la Democrazia Cristiana all’opposizione per lunghi anni. Una Dc che seppe aspettare, seppe rinnovare (quasi) tutti i ranghi per tornare ad essere la Balena Bianca.
Ma l’ago della bilancia restò il Partito Socialista. Un po’ come avveniva a Roma, laddove i vari Craxi, De Michelis, Martelli seppero capitalizzare esiti elettorali non certo trionfali.
Dalla seconda metà degli anni Sessanta e per poco meno di vent’anni, il grande protagonista della grande stagione del Psi a Capurso fu Antonio Rotunno. Che fu sindaco per due legislature, eletto (dal Consiglio comunale, come accadeva prima della elezione diretta del primo cittadino) nel 1967 e nel 1971. Rotunno, poi, riuscì a dare luminosità anche al suo tramonto (della sua carriera politica e della sua vita terrena) fino al 1982, tornando ad indossare la fascia tricolore a cavallo della tornata elettorale dell’83.
Di Rotunno, del suo tempo e della sua famiglia s’è parlato in biblioteca D’Addosio nel corso di una serata fortemente voluta dai figli del commerciante che dominò la vita politica locale tanto a lungo, con un’idea accolta con entusiasmo dal Comune di Capurso e, in particolare, dal vice-sindaco Claudia Nitti.
Sono intervenuti i figli di don Antonio Rotunno, Franco, Maria e Cristina, Simonetta Lorusso, vedova di Titino Lenoci, grande amico di Rotunno, il sindaco di Capurso Michele Laricchia, la stessa Nitti, che ha aperto l’affollatissimo incontro e Umberto Rizzo che ha tratteggiato il contesto storico-politico.
Gli interventi sono stati inframmezzati dalle note al violino di Pasqua Morena Di Fronzo, che ha eseguito brani di Lennon, Corelli, Schubert e Piovani.
Quello su Rotunno vuol essere, in realtà, il primo confronto sul tema “Capurso ricorda”: momenti vissuti sul fino della memoria, illustrando personaggi e personalità, fatti e misfatti di una comunità
Certo, nel caso, il rischio dell’apologia è costantemente dietro l’angolo. E qualche panegirico, a dire il vero, è sbucato qua e là. Inevitabile, tuttavia. Perdonabile, certamente.
La storia parte da lontano, dall’uccisione del padre con la mamma incinta del bimbo che avrebbe preso il nome del padre, scomparso giovanissimo. Poi gli anni di Milano, le buone frequentazioni, il matrimonio, i figli. E poi il negozio a Bari, in via Davanzati, in pieno centro murattiano. Le cose vanno bene. Il rapporto con Titino Lenoci, maggiorente del socialismo barese, lo introduce alla politica. E sarà una ascesa continua fino alle due consiliature da sindaco e al ritorno in auge tra l’82 e l’84, dopo la batosta infertagli dai “giovani turchi” guidati da Angelo Boezio che vincerà le elezioni del 1978, quelle che inaugureranno la “politica cittadina contemporanea”.
Franco e Maria Rotunno hanno ricordato soprattutto il marito, il padre, l’uomo onesto, l’intraprendente commerciante, il politico locale con poca cultura ma enorme umanità. Forse il primo sindaco ad “aprire” le porte del Palazzo di Città, per un continuo confronto con la gente di un paese ancora molto piccolo, senza l’assalto dei baresi e la crescita demografica dovuta al prezzo concorrenziale del mattone.
Nel corso del suo sindacato viene varato quel Programma di Fabbricazione attorno al quale s’era sgretolato il potere democristiano. E viene costruita la scuola media intitolata a Gennaro Venisti. In qualche modo, soprattutto grazie all’opera di Ninuccio Pagone, a lungo suo braccio destro, soprattutto nella prima metà degli anni Ottanta, furono gettati i semi della pubblica amministrazione volano delle iniziative sportive, culturali, folkloriche, staccate dalle classiche e un po’ stucchevoli feste patronali.
Vito Prigigallo